domenica 8 Settembre 2024 - Anno 33

ACQUI TERME: CULTURA AFFOSSATA

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Piazza Maggiorino Ferraris, ex mercato coperto di Acqui Terme, luogo che aveva ospitato una delle più grandi industrie cittadine, la fabbrica di coltelli Kaimano. L’area, ormai abbandonata, era stata venduta (o svenduta) ad un’azienda di costruzioni brianzola, che era interessata alla edificazione di nuovi condomini sul luogo.
Ciò avvenne nel 2006, ma già dall’anno dopo, quando i lavori erano iniziati e ci si preparava a costruire le fondamenta, una incredibile scoperta scombussolò i piani edilizi. Dei resti archeologici romani di grande entità ed importanza culturale furono ritrovati nell’area.
La scoperta attirò l’attenzione della Soprintendenza, oltre che della vecchia giunta comunale, d’altra parte pare che alcuni accordi vennero presi con il sindaco di Milano, anche in previsione dell’EXPO 2015, che si sarebbe tenuto nel capoluogo lombardo pochi anni dopo.
L’idea della musealizzazione dell’area venne a presentarsi, dal momento che il sito archeologico “in potenza” confinava (e purtroppo ancora adesso confina) con la Biblioteca Comunale e avrebbe potuto andare a creare un importante polo culturale per la città. Risulta quindi superfluo ribadire che l’ipotesi dell’area residenziale e commerciale fu subito accantonata vista la grandezza e le condizioni del sito: si trovarono estratti di mosaici policromi, resti di abitazioni e reperti in un buon stato di conservazione. Il progetto per convertire la zona in un museo però rimase tale, per mancanza di fondi principalmente, fino al 2016 quando si decise di ricoprire nuovamente la superficie, per evitare che i resti si rovinassero.
I lavori di ricopertura iniziarono l’anno successivo. Così, in 10 anni, non si riuscì a far altro che riportare allo stato originale l’area, senza che nemmeno i cittadini potessero mai vedere cosa si celasse all’interno delle recinzioni, se non sbirciando attraverso di esse o scrutando dai balconi delle case vicine. Inutile dire che furono fatti progetti per, quantomeno, migliorare le recinzioni, in modo che mostrassero o
spiegassero qualcosa sui resti tra esse contenuti, mai realizzati.
Ora dopo 15 anni, il luogo risulta ancora inutilizzato e lascia un senso di degrado per i passanti e gli automobilisti che si trovano sulla strada. Inoltre occupando una posizione quasi centrale nella città non si può nemmeno fingere che questo problema non esista e che non necessiti dei provvedimenti.
La flora ormai ha invaso i 4000 metri quadrati recintati e dal terreno si possono notare dei tubi, probabilmente degli sfiati o dei passaggi per delle sonde. Lo spettacolo che invece si presenta all’esterno è deprimente, data anche la tremenda manutenzione della recinzione, in alcuni punti piegata mentre in altri vandalizzata con scritte e segni fatti dai teppisti. Indubbiamente questo enorme “buco” in cui è difficile anche solo immaginare cosa si nasconda all’interno non va a suggerire l’idea di una città curata in tutti i suoi dettagli.
Ma perché lasciare che questa desolazione sia così vicina ai cittadini?
La stessa Regione dovrebbe intervenire. Nel caso in cui le rovine fossero state di media o piccola entità si sarebbe potuto procedere egualmente alla edificazione dell’area, magari successiva all’estrazione dei pezzi di maggior valore.
Appurato il fatto che i resti siano di grande dimensioni e ben conservati è ovvio però che su di essi non possa giacere alcun nuovo edificio.
All’epoca si era proposta anche la realizzazione di un parco, di una zona verde, dedicato allo svago di famiglie e del singolo individuo.
La cosa avrebbe permesso di trovare un po’ di natura in una parte della città ormai completamente cementificata, restituendo anche un minimo di respiro e relax per gli abitanti (in particolare dei palazzi limitrofi). Fortunatamente è stata evitata la costruzione di una nuova residenza condominiale, fulcro del progetto originale, cosa tra l’altro superflua dal momento che gran parte delle nuove case acquesi rimane vuota o semivuota.
Senza dubbio trasformare la superficie in un museo a cielo aperto sarebbe la
cosa migliore ma ciò richiederebbe grandissimi provvedimenti, anche se a parer mio necessari per rendere alla città di Acqui Terme almeno un po’ del suo antico splendore.
In ogni caso non si può più lasciare il posto in queste condizioni; inoltre basti pensare alla perdita culturale che ne consegue per capire quanto un intervento sia dovuto. Con la costruzione di un museo, si potrebbero finalmente vedere tutte le rovine romane e portare alla luce resti di grande importanza. Inoltre ciò avrebbe grande risonanza in campo turistico dal momento che non molti siti archeologici di epoca romana si sono così ben conservati soprattutto in Nord Italia, quindi si potrebbe avere anche un riscontro economico per ovviare ad eventuali prestiti concessi per permettere la realizzazione del sito.
Sono troppi anni ormai che una zona con un così elevato potenziale culturale non viene sfruttata, questo a discapito degli stessi cittadini che vivranno la loro vita senza aver mai potuto vedere cosa si trovasse oltre la recinzione.
Per permettere a tutti di visionare il sito si potrebbe ad esempio concedere l’accesso a tutti coloro che abbiano rinnovato l’abbonamento per la Biblioteca, così da incentivare anche la frequentazione di quest’ultima. Si spera che qualcuno, a partire dalla Regione, dalla Soprintendenza, sia disposto a riportare in auge il luogo, anche per ridare una nuova immagine alla città e tutelarne nuovamente caratteristiche e territorio. 

 

GRETA ICARDI

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