giovedì 21 Novembre 2024 - Anno 33

I treni che non abbiamo preso sono fermi nell’erba alta

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I treni che non abbiamo preso sono fermi nell’erba alta
Di e con Gabriella Dario – Regia Giordano V. Amato – Produzione Il Mutamento ETS
In collaborazione con Associazione Viaggi con l’asino – Giordano Vincenzo Amato

ANTEPRIMA
Giovedì 17 e venerdì 18 ottobre, ore 21:00
L’asola di Govi – Docks Dora, Via Valprato 68 (pad F), Torino
Ingressi: Intero 8,00 € – ridotto 5,00 €

Non sei forse tu, finestra, la nostra geometria,
forma così semplice che senza sforzo circoscrivi la nostra vita immensa?
Rainer Maria Rilke

I treni che non abbiamo preso sono fermi nell’erba alta” colloca la parola poetica al centro della scena per dare vita a un Teatro di Poesia personale, in sintonia con i versi di Gabriella Dario.

In una scena volutamente nuda, l’attenzione è posta sul dialogo tra le parole scritte e le rare azioni compiute, tra le scelte della messa in scena e l’articolata partitura musicale. Nessun elemento è al servizio dell’altro, ma il loro incontro concorre alla creazione di una scala sulla quale lo spettatore è invitato a salire, dato che da un punto più alto è possibile scorgere quello che il basso non conosce. Ma salire vuol dire anche esporsi, collocarsi in evidenza. Gabriella ha compiuto una scelta. La condivisione della sua necessità è uno dei doni di questa creazione. Salire o scendere è il compito di ognuno, ognuno secondo il proprio desiderio. Qui si parla di treni che, anche se immobili, non possono essere perduti e la destinazione è certa. C’è sempre tempo per prenderli. Basta accogliere l’offerta di lasciarsi accompagnare nel mondo della Poesia.
È teatro? Non è teatro? Cos’è il teatro? Le definizioni non sono necessarie per viaggiare.
L’importante è non restare fermi, neppure quando siamo seduti sulla nostra sedia.

Giordano V. Amato

LE MIE PAROLE
In questo lavoro ho dovuto affrontare molti No, molte rinunce. Nel mio “dire il verso” ho dovuto perdere peso, alleggerirmi, dimagrire: rinunciando all’interpretazione, al gesto inutile, alla parola ridondante. Ho dovuto lavorare per sottrazione. Le parole, i loro silenzi, i loro corpi, disegnano le stanze ideali che attraverserò in questa geografia dello spazio, tanto esterna quanto più interna, composta da sentieri, crepe, confini, cataclismi, cadute e alture, luoghi dell’abbandono e della memoria a volte crollati, a volte ricolonizzati da nuova vita. Un mondo fatto di minuscolo, perché la poesia non è fatta di maiuscole, dove l’anima si svela e si spoglia, si riconosce nel silenzio e nel meraviglioso che gli sta intorno.
Sulla scena vuota un solo microfono, le luci, pochissimi oggetti e azioni a inseminare l’immaginazione dello spettatore.

PERCHÈ IL TEATRO?
Le parole nascono sempre dal suono, dalla vibrazione, dal canto, dalla musica che la voce contiene, modula, accoglie, ed entrambi, parole e voce, procedono insieme, si cercano vicendevolmente, nel tentativo di esprimere quella molteplicità di significati che evocano di continuo e generano l’una verso l’altra. Il teatro è il luogo naturale della voce poetica quando esce dall’intimità della sua geografia personale per diventare voce degli e per gli Altri trovando ad accoglierla una comunità di ascolto. Il punto di congiunzione tra una solitudine e un senso di appartenenza.

PERCHE’ LA POESIA
Quando mi sono resa conto che le mie poesie sono sparse dappertutto, in foglietti dentro le pagine dei libri di poesie, all’interno dei quaderni fitti degli appunti di formazione, sui segnalibri, come copertina sui blocchi di carta con i disegni, al fondo delle cartoline e perfino sui post-it di casa, ho capito che era un modo di stare al mondo, un modo di guardare alle cose del mondo, un modo di ricercare la bellezza in ciò che abbiamo davanti agli occhi, nella vita quotidiana.
Allora mi sono chiesta che significato potessero mai avere, per me, le parole che cucivo come una sarta di qua e di là senza ordine, che sfuggivano dalla gabbia del prevedibile per cadere dentro di me, diventando uno strumento per sentire il mondo…
Delle chiavi per provare a leggere il mondo, per comprendere quello che è naturalmente ostico in me e non si vuol mostrare, chiavi per proteggere segreti che non voglio raccontare? La porticina chiusa nella storia di Alice che con la chiave magica apre meraviglie?

DUE PAROLE SULLE POESIE
Le poesie che propongo nello spettacolo “I treni che non abbiamo preso sono fermi nell’erba alta” sono una disincantata riflessione sulla duplicità dell’esistenza, tra impermanenza e bisogno di stabilità, tra immobilità e movimento, tra attaccamento e liberazione. Versi che interrogano il rapporto con le cose, il loro farsi e disfarsi, il presente e il sentimento del tempo che fugge, solitudini che evocano vicinanze e distanze nutrite di memoria, “valigie piene di ricordi” dove la mente ritorna non per nostalgia, ma per dolcezza e vicinanza. Sullo sfondo una Natura-farmaco che cura, balsamo lenitivo per le ferite della vita, invisibile e resistente membrana che contiene, richiamo per non perdersi.
Parole che provano a catturare con pennellate di colore, la magia dei momenti belli o tragici della vita scoprendone il lato insolito, la sorpresa che lascia interdetti, una lucida bellezza che si posa sugli accadimenti quotidiani.

Gabriella Dario

 

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