Essere disponibili al cambiamento per andare oltre la paura di mettersi sempre di nuovo in gioco, perché mai niente è detto e stabilito una volta per tutte, perché c’è sempre la possibilità di cambiare e rinascere. Il nuovo romanzo di Stefano Zecchi, Resurrezione (Mondadori, 230 pagine, euro 19) sviluppa un pensiero in forma narrativa, che colloca al centro il tema della speranza di attraversare e oltrepassare ciò che frena e limita la nostra esistenza. La storia si svolge a Srinagar, capoluogo della regione indiana del Kashmir, una città meravigliosa che si distende sul lago Dal con le sue case, negozi, alberghi galleggianti sull’acqua, sotto le pendici imponenti dell’Himalaya. Tre sono i protagonisti centrali del romanzo e, ognuno di loro, in modi diversi, ha commesso l’errore di considerare pigramente il tempo, come se il suo trascorrere fosse qualcosa di ovvio in quel luogo dell’India carico di spiritualità. Senza averne piena consapevolezza, vanno incontro a un destino che li attende e li obbliga a mettersi in discussione e a liberarsi da ciò che condiziona le loro storie private per affrontare una propria rinascita.
Con una scrittura attenta a raggiungere un’espressività elegante e sobria al tempo stesso, in cui il linguaggio metaforico e simbolico genera immagini suggestivi, Zecchi (vincitore nel 2011, tra i molti altri, del Premio Acqui Storia col volume Quando ci batteva forte il cuore) accompagna il lettore in una straordinaria avventura esistenziale e religiosa, dove il paesaggio indiano e le vicende personali dei protagonisti si fondono nello stesso avvincente percorso narrativo.Delia, fotografa di guerra, in crisi professionale, con un lavoro a cui non riesce ormai da tempo a trasmettere un’accettabile creatività, convince il marito e la sorella ad accompagnarla a Srinagar dove avrebbe potuto ottenere facilmente il visto per entrare in Pakistan e fotografare i teatri di guerra e i grandi campi profughi di quella regione: scene che pensava potessero restituire una nuova energia espressiva al suo lavoro. La sorella Clara, invece, è la tipica persona che Milan Kundera avrebbe chiamato “vandalo”: molto semplice nel suo modo di vedere la vita e molto bella con una viziata pigrizia nell’affrontare la sua quotidianità, vistosamente accresciuta da quando era rimasta vedova dal marito molto più anziano di lei, quasi un padre sempre impegnato a esaudire i suoi desideri e a risolverle i problemi anche più banali. Delia si era illusa di alleviare la depressione in cui era caduta la sorella, portandola con sé in India: un viaggio che si era rivelato subito troppo faticoso, quasi insopportabile per le sue comode abitudini di vita. Così, come Delia trascorreva estenuanti giornate in preda alla burocrazia che doveva rilasciarle il visto per il Pakistan, Clara passava il tempo annoiandosi e lamentandosi per i disagi che le arrecavano le usanze indiane tanto diverse dalle sue.
Freddy, il marito di Delia, che senza esitare si era reso disponibile ad accompagnarla in India, è un medico con la passione per lo studio della vita di Gesù. Uno studio che affronta da “dilettante” come lui si affretta sempre a precisare ai suoi interlocutori, ma che proprio a Srinagar trova una svolta imprevista. Infatti, viene per caso a sapere che in città, nel piccolo tempio chiamato Rozabal, c’è la tomba di Gesù: proprio questo gli viene spiegato e documentato da un professore dell’università di Srinagar, studioso dei Vangeli gnostici, delle comunità degli Esseni, dei Manoscritti del Mare Morto. Insieme ad altri suoi colleghi, il professore sostiene la tesi che Gesù sarebbe sopravvissuto alla crocifissione e, una volta guarito dalle gravi ferite subite, avrebbe intrapreso il lungo e annoso viaggio verso l’India insieme alla madre (dove un santuario, nei pressi degli attuali confini tra Pakistan e Kashmir, ricorda il luogo della sepoltura di Maria, ancora oggi venerato dai cristiani) e a San Tommaso, che morì a Madras nel sud dell’India.
Da queste sconvolgenti e rivoluzionarie ricerche sulla figura di Gesù, ignote a Freddy e verso le quali riserva tutte le proprie perplessità, egli viene però in contatto con una figura di Gesù profondamente umana, che vive condividendo le gioie e le sofferenze delle persone con cui trascorrere il proprio tempo come se le preparasse ad affrontare la loro resurrezione durante la vita, predicando e adoperandosi affinché si liberino dalle paure e si aprano alla speranza di oltrepassare il male che annienta la libertà e l’amore.
Freddy è frastornato – oltretutto per una serie di vicende che gli capitano – dalle parole del professore, ma anche rincuorato perché coglie in quel racconto della storia di Gesù una metafora del superamento della morte nella vita stessa, un cammino umano e spirituale che inaspettatamente lo accomuna in uno stesso destino con la moglie e Clara. Per superare la propria crisi professionale, Delia è, infatti, pronta a sacrificare se stessa, sfidando il pericolo e affidando la propria rinascita dal nulla, in cui l’aveva sprofondata l’assenza di creatività e di fiducia nel lavoro, alle immagini delle sue fotografie che ritraggono la tragedia della guerra, degli attentati terroristici, del disumano ammasso dei profughi nei campi di raccolta.
Clara, a sua volta, intraprende un cammino ai suoi stessi occhi imprevedibile: durante le proprie annoiate peregrinazioni per la città, si imbatte in una comunità che vive appartata tra le case galleggianti di Srinagar, sul maestoso lago Dal, e professa una religiosità travolgente nelle sue ritualità erotiche. Il suo corpo spento e mortificato dall’inedia e dalla depressione risorge in una sorta di miracolo panico attraverso l’amore, l’abbandono a una sconosciuta sessualità, la bellezza dei colori della natura.
Ma tra i protagonisti del romanzo non vanno neppure dimenticati i luoghi in cui si svolge la storia, descritti da Stefano Zecchi con una tale maestria da farli vivere come fossero veri personaggi del romanzo. L’India, presente in altri suoi importanti libri, è un luogo d’elezione di Zecchi, raccontata con profondità, autentica conoscenza, senza i consueti stereotipi, colta nella sua anima che tutto sacralizza e che rende impensabile ogni forma di ateismo: in questa terra, ricca di bellezze millenarie e di esaltanti contraddizioni, la resurrezione diventa una metafora per descrivere l’essenza stessa dell’essere umano nella sua speranza di liberarsi da ogni soffocante limitazione, da ogni paura per affrontare la propria rinascita.
CARLO SBURLATI